Configurato per aiutare chi ha raggiunto l’età pensionabile senza i requisiti minimi. Un modo flessibile per completare il percorso contributivo.
Entrare nel mondo della pensione senza abbastanza anni di contribuzione è un timore palpabile per molti lavoratori italiani. Quando si raggiungono i 64 o 67 anni, scoprire di non aver accumulato i 20 anni necessari per la pensione di vecchiaia o anticipata può rappresentare un ostacolo nella pianificazione del futuro post-lavorativo. Fortunatamente, la Legge di Bilancio 2024 reintroduce una misura salvifica: la pace contributiva.
La pace contributiva riapre la porta a molti lavoratori, consentendo loro di recuperare fino a cinque anni di contributi mancanti, migliorando così le prospettive di accesso al pensionamento.
Una seconda opportunità per i contributivi puri
Chi può beneficiare di questa misura? La pace contributiva non va confusa con il riscatto della laurea. Questo strumento, già testato tra il 2019 e il 2021 grazie al Decreto Legge n. 4/2019, tornato in vigore dal primo gennaio 2024, valido per il biennio 2024/2025. È riservato ai cosiddetti “contributivi puri,” ovvero quei lavoratori il cui primo contributo versato risale a dopo il 31 dicembre 1995. Ma come si colmano tali lacune? Attraverso il riscatto di quei periodi mancanti, per un massimo di cinque anni, che possono essere giustificati da interruzioni lavorative.
Questa opportunità è pressoché un salvavita per chi, malgrado abbia raggiunto l’età pensionabile, non dispone ancora dei requisiti minimi per la pensione di vecchiaia o anticipata. In questa cornice, la pace contributiva diventa uno strumento strategico per completare il percorso contributivo senza dover estenuare ulteriormente la propria carriera lavorativa.
Un processo di riscatto a misura di tasche
Affrontare la pace contributiva significa, però, dover mettere mano al portafoglio. Il costo del riscatto dei contributi viene determinato calcolando la media delle ultime dodici retribuzioni lorde mensili, a cui si applica l’aliquota contributiva corrispondente al fondo pensionistico del lavoratore. Un gioco matematico intuitivo, ma che può pesare sulle finanze personali.
Eppure, la modalità di pagamento offre una certa flessibilità: l’intero importo può essere saldato in una sola volta oppure suddiviso in rate mensili, con una pianificazione che può diluirsi fino a un massimo di dieci anni o 120 rate. Inoltre, i versamenti per il riscatto dei contributi sono deducibili fiscalmente, alleviando così l’onere economico secondo quanto stabilito dalla normativa fiscale in vigore. Una soluzione, se non altro, che punta a lenire lievemente il carico finanziario necessario per garantire una vecchiaia più sicura.
Il ruolo della pace contributiva nel sistema pensionistico
Sul palcoscenico dell’età pensionabile, la pace contributiva propone una valida via d’uscita per tanti lavoratori che affrontano carriere discontinue. Nell’attuale panorama pensionistico italiano, spesso in bilico tra riforme e riordini, questa misura emerge come un dispositivo di flessibilità. Permette ai lavoratori di adattarsi più facilmente ai requisiti pensionistici.
In Italia, così come in molti altri paesi europei, si vive un costante processo di revisione del sistema pensionistico per garantirne la sostenibilità, soprattutto in risposta ai mutamenti demografici e all’invecchiamento della popolazione. In tale contesto, la pace contributiva si erge non solo come un vantaggio personale per chi si approssima alla pensione, ma anche come una leva per mantenere l’equilibrio tra riforma e necessità individuali.